CON MORO: LE NUOVE FRONTIERE DELLA POLITICA
Intervista con Alfonso Alfonsi
di Fabio Feudo
Alfonso Alfonsi,
tra i promotori dell’Accademia di Studi
Storici Aldo Moro e da dieci anni presidente della
stessa, è sociologo
e ha un’esperienza pluriennale, non solo nel campo della
ricerca storiografica proprio sul pensiero di Aldo
Moro, ma anche nella formazione post universitaria
e nella ricerca, in diverse aree del mondo: Africa,
Asia e Stati Uniti. Lo intervistiamo in occasione della
pubblicazione del nuovo sito dedicato al programma “L’intelligenza
e gli avvenimenti” predisposto per il 150° dell’unità d’Italia.
Chiediamo ad Alfonsi di fare un punto della situazione
sulle attività dell’Accademia, a partire da questo nuovo
programma che si propone di affrontare alcune grandi tematiche del
mondo contemporaneo e di mettere alla prova l’attualità del
pensiero di Aldo Moro e la missione stessa dell’Accademia.
Si tratta, quindi, di un programma
sull’attualità?
Questo programma fa parte della tradizione dell’Accademia quale
luogo dove è possibile riflettere sul pensiero e l’opera
dello statista, traendone spunto per l’interpretazione del
mondo contemporaneo. Ciò è possibile proprio perché abbiamo
la fortuna di lavorare a partire dal pensiero di Aldo Moro, che ha
sempre mostrato la capacità di cogliere sul nascere e interpretare
i cambiamenti in atto nella società del suo tempo, vedendo
la realtà in chiave processuale. E direi che oggi questa attitudine è più che
mai necessaria, dal momento che viviamo in una fase storica nella
quale vengono a mancare punti di riferimento stabili.
Nello stesso tempo, credo che il pensiero di Moro richieda
di essere fatto oggetto di un lavoro accurato, proprio perché non è stato
istituzionalizzato e codificato in un corpus organico di scritti.
La missione dell’Accademia è quella, appunto, di lavorare
per una interpretazione adeguata di questo pensiero, nonostante la
frammentarietà delle fonti e, soprattutto, nonostante il fatto
che esso fa riferimento a un progetto interrotto tragicamente.
E’ in questo spirito che abbiamo da poco dato vita al blog “Frammenti
della memoria” che fa parte integrante di questo sito.
Il nostro obiettivo è quello di rispondere alla domanda, piuttosto
diffusa, di conoscere questo pensiero non solo con un approccio storiografico,
ma anche in una prospettiva più personale - questo è il
tema della memoria – anche per ricavarne un contributo per
la discussione politica e culturale di questi tempi.
E poi c’è il versante
della ricerca storiografica…
Sì, naturalmente rimane centrale il nostro impegno nel promuovere
la ricerca storiografica sul pensiero e l’opera dello statista,
attraverso un comitato di storici, che, insieme all’Accademia,
lavora da un paio di anni anche nella prospettiva di
mettere a punto una biografia di Aldo Moro, nel quadro del Centenario
della nascita dello statista nel 2016. A proposito del lavoro degli
storici, vorrei segnalare la recente pubblicazione, a cura della
redazione di “Mondo
contemporaneo”, di un volume collettaneo dal titolo “Aldo
Moro nella storia dell’Italia repubblicana”, che è uno
tra i frutti più significativi del convegno internazionale
tenutosi nel 2008, in occasione del Trentennale della scomparsa dello
statista.
Tutto ciò si svolge in un contesto, italiano e internazionale,
che è caratterizzato da una profonda crisi.
Certamente. E’ inutile ricordare che l’Italia sta vivendo
in un contesto di crisi generale, non solo economica e finanziaria,
che colpisce, sia pure in modo diverso, tutte le società contemporanee,
rischiando di determinare, anche nei paesi industrializzati un abbassamento
nelle condizioni di vita di larghi strati della popolazione. Quello
che vorrei sottolineare, sia pur schematicamente, è che tale
crisi è accompagnata da un profondo senso di disorientamento,
non solo da parte della cittadinanza, ma anche dei governanti, dei
politici e degli altri decisori, come se esistesse un gap conoscitivo
e interpretativo che impedisce di affrontare in modo efficace la
contingenza attuale. In effetti, anche se gli aspetti economici e
finanziari sono quelli che colpiscono più direttamente l’attenzione,
ritengo che questa crisi sia frutto di alcuni grandi processi di
trasformazione, anche di tipo sociale e culturale, che stanno modificando
i caratteri più profondi delle società contemporanee,
cambiando le condizioni che ne rendono possibile il governo. Oggi,
potremmo dire, ispirandoci ad Aldo Moro, che è in corso una
grande trasformazione al livello dei processi antropologici. Si pensi
alla transizione energetica, alla soggettività delle donne,
all’innovazione in campo tecnologico, all’immigrazione,
al multiculturalismo, fino ad arrivare alle tematiche ambientali
e alle sfide legate al nuovo modo di strutturarsi della condizione
giovanile in tutti i suoi aspetti problematici, ma anche innovativi.
Già nel 2008 l’Accademia aveva indetto un convegno
internazionale incentrato proprio sul tema del governo delle società del
XXI secolo.
Infatti, proprio in occasione di quel convegno veniva
sottolineato come nel mondo contemporaneo, in quella che viene definita
la società post-moderna, il potere delle istituzioni statuali
di ordinare, canalizzare e orientare la vita sociale si è enormemente
ridotto di fronte a individui sempre più autonomi dai centri
politici e a processi globali sempre più potenti. Mi riferisco
anche all’emergere di comportamenti che possono essere definiti “devianti”,
come il terrorismo e la criminalità transnazionali. Questo
sta generando una lunga serie di problemi, peraltro già ampiamente
trattati in letteratura, che producono incertezza, esposizione al
rischio, polarizzazione, e a cui fanno riscontro quelle profonde
zone di opacità che riducono la comprensione della realtà sociale
a cui ho già accennato.
Di fronte a ciò, penso che sia necessario (e nel suo piccolo
l’Accademia sta cercando di dare il suo contributo) “andare
oltre” questa nebbia e superare queste zone di opacità,
cercando di cogliere segni di speranza per il futuro,
anche, direi soprattutto, in un contesto in cui sembra invece prevalere
(con le sue ragioni) il disorientamento o addirittura un certo nichilismo.
Vorrei ricordare, in proposito, quel brano in cui Moro
riesce a cogliere nella realtà, anche molto conflittuale, “i
segni di grandi cambiamenti e del travaglio doloroso
nel quale nasce una nuova umanità.”
In altri termini, bisognerebbe avere il coraggio di riflettere
su quali energie possiamo contare per un superamento in positivo
della crisi; e forse un riferimento a Moro può ancora essere
utile, sia dal punto di vista dei contenuti, sia da quello del metodo.
Un metodo di Aldo Moro, in che senso?
Mi riferisco all’attitudine che Moro aveva nel gestire queste
istanze provenienti dalla società attraverso l’attivazione
di processi di inclusione, che prevalentemente hanno dato luogo a
quelle che potremmo chiamare “ondate di diritti”.
Mi pare che la visione di Moro, nei lavori della Costituente
e anche nella successiva attività politica, sia sempre stata
legata a una grande strategia di andare incontro alle novità e
alle necessità provenienti dalla società e di includere
nel mondo istituzionale, politico e sociale i soggetti che ne erano
portatori.
In uno scritto di alcuni anni fa, Enzo Cheli spiega come
lo stesso impianto della Costituzione sarebbe stato influenzato da
questa visione, dal momento che esso è organizzato secondo
il criterio, proposto da Moro e adottato dall’Assemblea costituente,
della “socialità progressiva”. Tale criterio permetteva
di collegare a ognuno dei differenti livelli in cui si manifesta
e si esplica la socialità umana (individuale, delle collettività primarie
come la famiglia o la scuola, della dimensione economica, fino alla
sfera più ampia della dimensione politica) uno specifico sistema
di diritti e di responsabilità. In questo modo, la stessa
Costituzione diviene, tra l’altro, un grande strumento per
garantire questo continuo, e direi inesorabile, processo di democratizzazione
delle aree della vita sociale maggiormente toccate da processi di
trasformazione.
Tornando alla questione del governo
delle societa’ contemporanee,
come si è sviluppata la riflessione dell’Accademia successivamente
al Trentennale?
Oggi stiamo riflettendo, utilizzando un linguaggio forse
anche un po’ datato, circa il profilarsi all’orizzonte
di “nuove frontiere della politica”. Con questa espressione
mi vorrei riferire a quelle aree in cui si rileva, in Italia e al
livello internazionale, un deficit di democrazia, o perché si
tratta di dimensioni della vita sociale che non sono ancora soggette
a un confronto democratico, oppure perché sono al centro di
trasformazioni di tale portata da essere sottratte in qualche modo
a tale confronto.
Mi sembra utile parlare di “nuove frontiere” poiché si
tratta di luoghi in cui la politica stenta a muoversi in modo efficace.
Ma è proprio in questi luoghi che la pratica della democrazia
dovrebbe essere primariamente presente.
Credo che le nuove frontiere della politica siano proprio
i luoghi in cui le trasformazioni sociali possono incontrare risposte
istituzionali, producendo quelle nuove forme di sintesi politica
di cui il mondo di oggi ha particolarmente bisogno, non con il fine
di “imbrigliare” la realtà, ma al contrario, con
l’intento di liberare, includere, definire e proteggere i diritti
di tutti, per ridurre e controllare i fattori di rischio e per creare
nuovi spazi di responsabilità diffusa.
Oggi però siamo lontani mille miglia dai tempi della Costituente
e dagli anni ’60. Quindi quale può essere il contributo
di Moro?
Sì, eppure ancora oggi mi sembra che siano in azione in modo
evidente nelle società contemporanee dinamiche di esclusione/inclusione/mondo
dei diritti. Ciò è dimostrato da quanto accade, per
esempio, in tre ambiti del mondo odierno, quelli della conoscenza,
della democrazia cosiddetta “finanziaria” e dell’identità nazionale,
che credo possano essere considerati tra quei territori di frontiera
che la politica deve riuscire ad esplorare.
Parliamo prima della
conoscenza, che da un po’ di
anni è diventato un tema centrale, anche al livello
europeo. Si pensi a tutto il percorso iniziato più di
dieci anni fa intorno al trattato di Lisbona.
Sì, io direi che si pone oggi una questione connessa
alla gestione democratica della società della
conoscenza. Come sappiamo, è in corso un aumento
sensibile del ruolo che ha la conoscenza nelle società contemporanee.
E’ su tale terreno che si manifestano le maggiori
opportunità e risorse per lo sviluppo, ma anche
inediti rischi di esclusione, tanto per le comunità,
quanto per gli individui. In questo ambito la politica
viene sfidata a dare una risposta, magari anche proponendo
una piattaforma istituzionale che potremmo definire nei
termini di un nuovo tipo di cittadinanza: una “cittadinanza
scientifica”. Tale cittadinanza dovrebbe sostanziarsi
nel riconoscimento di questi come aspetti essenziali
per lo sviluppo e la sopravvivenza di ogni comunità umana.
In questa prospettiva il pensiero
di Moro che cosa ci può ancora
dire?
Il pensiero di Moro mi sembra un pensiero molto adatto
a produrre chiavi interpretative per società legate alla conoscenza
e, in generale, in cui le dinamiche cognitive svolgono un ruolo centrale.
In effetti, soprattutto dopo il ’68, Moro aveva capito che
stava emergendo una società diversa, basata, per così dire,
sull’“intelligenza diffusa”, in cui la gente sarebbe
stata più istruita, maggiormente capace di capire quel che
accade e più dotata di strumenti per agire sulla realtà.
Certo, oggi il problema potrebbe apparire completamente
diverso, dal momento che c’è una sorta di gara a mettere
in evidenza l’ignoranza e la impreparazione delle persone comuni.
E per contro è sempre più diffusa la prospettiva populista.
Tuttavia sono convinto che esista una forte relazione
tra sviluppo della democrazia e intelligenza diffusa e, nello stesso
tempo, penso, con Moro, alla qualità umana, in tutti i sensi,
degli italiani, ivi compresa la capacità di ragionare e di
interpretare la realtà.
Hai parlato anche di una questione
democratica connessa alla finanza. A questo tema
il nostro sito dedica una nota all’interno
della sezione governance incentrata
proprio sull’emersione
di un problema democratico connesso alla crisi finanziaria.
Intendevo riferirmi al versante principale della crisi,
quello finanziario, in cui, credo, esista un’ulteriore frontiera
della politica, riguardante la gestione democratica dei processi
relativi ai mercati finanziari. Parliamo in questo caso, infatti,
di processi che rivestono una palese rilevanza collettiva e che permeano
la vita delle persone, ma in cui la dinamica democratica appare carente
se non, per molti versi, del tutto assente.
Si può dire, infatti, che la dimensione biografica dell’italiano
medio è cambiata a partire dall’inserimento nella “macchina” finanziaria
di pressoché tutti gli aspetti della vita quotidiana, offrendo
nuove opportunità, ma esponendo anche a nuovi rischi di esclusione
e discriminazione. Appare chiaro, inoltre, come le enormi e rapidissime
trasformazioni della finanza internazionale abbiano prodotto profonde
zone di opacità, anche grazie alle rappresentazioni collettive
dominanti, come quelle che vedono i mercati come entità astratte,
onnipotenti e quasi divine. Tali rappresentazioni di fatto sembrano
contribuire a sottrarre al confronto democratico un settore che,
già di per sé, appare oggi strutturalmente orientato
ad eludere forme di controllo pubblico, da parte di singoli governi
o, persino, di organismi sovranazionali, dando luogo a forme di riduzione
della sovranità nazionale.
Tutto ciò mi spinge a riflettere sulle prospettive, anche
in questo ambito, per la messa in atto di un nuovo sistema
di diritti, doveri e responsabilità. Si potrebbe parlare,
in proposito, di una questione relativa alla possibilità di
un effettivo esercizio di una “democrazia finanziaria”.
Su tutto ciò l’Accademia,
come si è detto, sta promuovendo un itinerario di riflessione
a partire da una nota preparata
ad hoc.
Poi c’è la questione dell’identità nazionale,
su cui l’Accademia sta organizzando un seminario nazionale
a Roma.
Credo che si debba registrare un sorprendente cambiamento
di segno del tema dell’identità nazionale che, da questione
meramente interna ai singoli stati e da affrontare in chiave difensiva, è diventata
invece una questione globale, che attraversa, con modalità e
intensità diverse, gran parte dei contesti nazionali, in Europa
così come in altre aree continentali. Tale questione può assumere
le forme più diverse, dall’insorgere di istanze di nazionalismo
locale o di localismo, al revival nazionalista, alle difficoltà sempre
maggiori incontrate nel promuovere identità nazionali civiche,
identità, cioè, non fondate sulla condivisione di tratti
culturali, linguistici o storici, bensì sull’adesione
a comuni principi costituzionali.
Tutti questi fenomeni rischiano di produrre effetti,
anche rapidi, sulla legittimazione, la capacità di azione
e le funzioni dello Stato in quanto tale, rendendo sempre più difficile
identificare un bene comune o chiedere un impegno per perseguire
obiettivi condivisi. In questo senso, quella dell’identità si
pone come una nuova frontiera che deve essere esplorata dalla politica.
Anche in questo caso ci può essere di aiuto la lezione di
Aldo Moro, che non ha mai fatto ricorso a raffigurazioni astratte
e stereotipate degli italiani o di qualsiasi altro popolo, cercando
di cogliere piuttosto la loro verità. Nella visione di Moro,
nazione e unità nazionale si configurano come espressioni
di una soggettività sociale, spesso contraddittoria e difficile
da armonizzare, ma dinamica e aperta al futuro. Così concepita,
l’idea di nazione assume il carattere di una risorsa cui la
collettività può ricorrere anche nei momenti più complessi
della sua vicenda storica.
Su questo tema l’Accademia ha promosso un seminario che
si terrà il 19 dicembre Roma presso la Enciclopedia italiana,
con l’obiettivo di animare una discussione a partire da un
bilancio sulle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia,
in continuità e in sintonia con quanto recentemente affermato
dal presidente Napolitano.
Inoltre, questo nuovo sito ospita una sezione,
articolata in forma di blog dedicata
a questa problematica.
Per concludere, vorrei invitare tutti a venirci a trovare
in questo sito,
leggendo le cose che verranno pubblicate e, poiché si tratta
di un sito fortemente caratterizzato dalla interattività,
anche partecipando alle riflessioni che verranno lanciate
nei blog. Noi saremo lieti di ricevere i commenti di
tutti e di lanciare nuovi argomenti di discussione.
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